Dalla sicurezza all'informazione, dagli studi medici ad un sarcofago ancora da ultimare dopo 25 anni: il disastro nucleare di Chernobyl sembra una lezione mancata dopo un quarto di secolo, e non solo per il recente bis a Fukushima. Oggi a Kiev si tenterà l'ennesimo bilancio con una maxi conferenza, dopo la messa-lampo del patriarca di Mosca Kirill e la rapida visita alla centrale dei presidenti di Ucraina e Russia, i due paesi più colpiti dalla nube radioattiva (insieme alla Bielorussia). Qualche leader ha già tentato di trarre un insegnamento per il futuro. Il leader del Cremlino Dmitri Medvedev, erede di quell'Urss che nascose il disastro per tre giorni, si è detto convinto che "la principale lezione" è "dire la verità alla gente, perché il mondo è talmente fragile, e noi siamo talmente interdipendenti, che ogni tentativo di nascondere la verità, di non dire tutto...si risolve in tragedia". E ha condannato la condotta 'irresponsabile dello Stato'' sovietico, "che non trovò subito il coraggio di riconoscere quello che era successo", ha ammonito mentre consegnava al Cremlino l'ordine del coraggio ad alcuni "liquidatori".
In quattro anni l'Urss ne mandò oltre 600 mila per liquidare le conseguenze del disastro, esponendoli a forti dosi di radiazioni con una protezione minima. Lo ha confermato anche alla stampa il gen. Nikolai Antoshkin, comandante dei piloti di elicotteri inviati a gettare tonnellate di sabbia e piombo sopra il reattore numero 4, esploso per un errore umano durante un test di sicurezza, sprigionando elementi radioattivi di una intensità equivalente ad almeno 200 bombe di Hiroshima e dispersisi in un'area di oltre 200 mila kmq. Ricevevano pillole di iodio, una pomata antiradiazioni e una nuova uniforme dopo ogni missione, al termine della quale dovevano lavarsi. Sapevamo che si trattava di precauzioni insufficienti, ma volarono lo stesso. Idem per i 'liquidatori' mandati nel reattore con protezioni minime: ci stavano tra 25 e 60 secondi, ma spesso quei secondi erano letali.
In Russia ne sono rimasti 150 mila ed hanno pensioni mensili dai 2500 rubli (62 euro) a 500 mila rubli (12.500 euro), a secondo del tempo di esposizione. Sono gli eroi sopravvissuti di una tragedia che tutti pensavano non potesse ripetersi. Tantomeno in Giappone. Eppure, dopo 25 anni, la lezione sembra tutta da imparare. Cernobyl fu frutto di un errore umano in una centrale senza adeguati sistemi di sicurezza. Ma l'ultimo dei suoi quattro reattori è stato chiuso definitivamente solo nel dicembre 2000. Nel frattempo le dieci centrali atomiche russe continuano a funzionare con una trentina di reattori in gran parte dell'epoca sovietica, il più vecchio dei quali risale al 1971. Il reattore di Cernobyl fu coperto in sei mesi con un involucro provvisorio di cemento, rinforzato alcuni anni fa, ma ora ha una fessurazione ed è costantemente monitorato per il rischio di crolli. E' rimasto provvisorio per 25 anni, e dovrà attenderne altri quattro prima di essere ricoperto da un nuovo sarcofago in acciaio per il quale la comunità mondiale non ha ancora coperto il budget di 1,5 mld di euro. Un'altra lezione mancata è quella medico-scientifica sulle vittime e gli effetti di Cernobyl.
A 25 anni dalla catastrofe, il bilancio suscita ancora controversie. Le autorità ucraine stimano che un totale di 5 milioni di persone abbia sofferto le conseguenze della tragedia. Per Greenpeace il numero varierebbe da 100 mila a 400 mila. Nel 2005 alcune agenzie dell'Onu (tra cui l'Oms) hanno indicato che sono morte 4000 persone. Ma l'Unscear, la commissione scientifica dell'Onu per gli effetti delle radiazioni nucleari, riconosce solo 31 vittime dirette dell'incidente, tra operatori e pompieri. E nel suo rapporto dello scorso febbraio fissa a 6000 i casi di cancro alla tiroide (di cui 15 mortali), riconoscendolo come unica conseguenza diretta del disastro. Ma il problema è che è mancato lo screening sanitario. "Studi indipendenti condotti in Ucraina, Russia, Bielorussia e in altri Paesi dimostrano che le conseguenze all'esposizione anche a un basso livello di radiazioni sono molto più allarmanti di quello che la comunità internazionale vuole accettare", sostiene Aleksander Glushcenko, un fisico nucleare autore di tre libri su Cernobyl.